Capitolo terzo
La corruzione politica


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capitolo primo ed indice | capitolo secondo | capitolo terzo | capitolo quarto | capitolo quinto | capitolo sesto | capitolo settimo | appendici e conclusioni | bibliografia

 

 

CAPITOLO TERZO

 

LA CORRUZIONE POLITICA

 

 

3.1 INTRODUZIONE

3.2 LA MANCANZA DI UN MANDATO SPECIFICO

3.3 IL MERCATO DEL VOTO

3.4 LA SEPARAZIONE TRA SFERA POLITICA E SFERA DI MERCATO

3.5 I RAPPORTI DI SCAMBIO NELLA CORRUZIONE POLITICA

 

 

3.1 INTRODUZIONE

La corruzione politica, cioè quella dell'esecutivo e dei rappresentanti eletti dai cittadini, si differenzia profondamente dalla corruzione amministrativa per vari motivi. Innanzitutto il rapporto politici-elettori non è configurabile come un rapporto di mandato; i favori concessi da politici possono essere anche legittimi, come nel caso di approvazione di norme a favore di certi specifici gruppi d'interesse; i benefici ottenuti in cambio di tali favori possono consistere in voti o altre forme di supporto elettorale di per se legittimi, ed anche quando si ricevono soldi, questi possono essere spesi per la campagna elettorale e per il partito invece di essere trattenuti a beneficio personale.

"Per questi motivi la corruzione politica va analizzata con strumenti diversi dalla corruzione amministrativa, facendo riferimento alla separazione tra sfera politica e sfera di mercato e all'analisi normativa delle regole costituzionali che è opportuno imporre per quanto concerne il funzionamento del sistema politico ed i suoi meccanismi di selezione, decisione e controllo." (Ragazzi G., 1994 p. 171)

 

3.2 LA MANCANZA DI UN MANDATO SPECIFICO

L'impostazione weberiana sottolinea l'esistenza di un mandato per la burocrazia, che consiste nell'applicare le norme con assoluta imparzialità nei confronti di ciascun cittadino; per quanto concerne la politica risulta invece assai difficile far riferimento ad un mandato specifico. E' difficile far riferimento ad un mandato ricevuto dagli elettori in quanto il consenso politico viene ottenuto per una varietà di aspetti personali, morali, ideologici e non solo ne prevalentemente economici. Quando, raramente, i candidati alle elezioni presentano programmi economici precisi, il mutare delle situazioni nel tempo o l'opportunità di sacrificare alcuni obbiettivi per altri può giustificare, dopo l'elezioni, il perseguimento di politiche diverse da quelle indicate nei programmi, senza che per questo si possa parlare di tradimento del mandato ricevuto dagli elettori.

La mancanza di una base per definire i termini di un mandato tra elettori ed eletto sta nel fatto che quest'ultimo non sa nemmeno per certo chi gli abbia dato il voto e perché.

Cercando di effettuare un'analogia tra burocrate e politico, si potrebbe affermare che quest'ultimo è corrotto quando antepone i propri interessi a quelli degli elettori. Ma come si fa a determinare quali siano gli interessi degli elettori, e, in particolar modo, chi è abilitato a farlo? Risulta difficile dare una risposta a queste domande, soprattutto se si tiene conto che non è chiaro neppure in base a quali principi debba ritenersi corrotto un politico che tenda a massimizzare i propri voti, o ad arricchirsi personalmente, o a perseguire una sua ideologia anche nel caso in cui si potesse determinare che questi comportamenti fossero in contrasto con gli interessi degli elettori.

Per cercare di ovviare, almeno in parte, a tali problemi, la società impone norme che delimitino la sfera politica da quella di mercato, sia per quanto riguarda le possibilità di arricchimento dei rappresentanti eletti, sia per quanto riguarda i metodi con i quali è ammesso sollecitare e raccogliere il consenso elettorale. Si tratta dei cosiddetti "scambi bloccati", cioè delle transazioni non ammesse, per motivi politici o etici, indipendentemente da ogni valutazione sui benefici che ciascuna transazione potrebbe arrecare alle due parti o ai terzi; l'analisi della corruzione politica è quindi, in larga misura, un'analisi di tipo normativo.

Con l'entrata in vigore della Costituzione Italiana nel 1948, si è riconosciuta l'opportunità di remunerare i rappresentanti eletti per il loro presupposto impegno a tempo pieno, ma il politico non deve percepire alcun altro extra reddito dall'esercizio della carica, indipendentemente dal successo col quale svolge questa attività.

Nelle moderne democrazie non si ammette quindi che un politico possa legittimamente tendere a massimizzare il proprio reddito tramite l'attività politica, come può invece fare un imprenditore nell'esercizio dell'attività imprenditoriale.

 

3.3 IL MERCATO DEL VOTO

Stando alla logica della sovranità popolare si è portati a credere che la corruzione politica possa essere efficacemente combattuta tramite lo strumento del voto: se il politico ruba, il Popolo non lo rielegge. Se anche così fosse, risulterebbe difficile recuperare quello che il politico ha già rubato nella precedente legislatura, inoltre il Popolo, ingannato durante la campagna elettorale, potrebbe eleggere un altro politico corrotto e ciò darebbe origine ad una spirale perversa. Non bisogna poi dimenticare il problema dell'incumbent, cioè del politico che non intende essere rieletto e che ha quindi interesse a massimizzare il proprio reddito utilizzando il potere conferitogli con l'elezione, senza alcuna remora per la conseguente perdita di voti.

In realtà i voti non vengono dati basandosi esclusivamente su fattori morali e di onestà, bensì entrano in campo anche fattori di tipo ideologico, personale e di convenienza economica per l'elettore, talché anche un politico corrotto, pur perdendo voti a causa della sua immoralità e disonestà, potrebbe essere rieletto. La rielezione potrebbe essere pregiudicata solo per quei politici eletti con maggioranze molto risicate, i quali, sapendo che una perdita anche lieve di preferenze potrebbe pregiudicarne la rielezione, tenderebbero ad astenersi dalla corruzione. Invece, i candidati molto popolari, con maggioranze molto ampie, avrebbero convenienza ad arricchirsi mediante corruzione in quanto anche una perdita conseguente di voti non ne pregiudicherebbe la rielezione.

(Rose-Ackerman, 1978)

Da questo discorso si capisce come il mercato del voto non sia, di per se, in grado di eliminare la corruzione.

 

3.4 LA SEPARAZIONE TRA SFERA POLITICA E SFERA DI MERCATO

A seconda del tipo di sistema elettorale, i partiti politici possono avere un ruolo importante nel controllare che i singoli eletti si attengano al programma elettorale (e, quindi, alle promesse fatte agli elettori) senza anteporre gli interessi personali. Tuttavia, quando il sistema politico è poco concorrenziale, come nel caso del consociativismo, i partiti possono appropriarsi di un surplus politico a danno della collettività. Quest'ultimo può essere in parte acquisito legalmente tramite stipendi e privilegi dei parlamentari, cariche economiche a sostenitori, finanziamenti pubblici ai partiti, mentre, per la parte rimanente può essere acquisito solo con la corruzione.

La spinta all'illegalità è pertanto endogena a certi sistemi politici e può essere combattuta solo con mutamenti istituzionali che favoriscano l'effettiva concorrenza politica. (Ragazzi G., 1994 p.176)

Tramite l'introduzione degli "scambi bloccati" la società cerca di delimitare la sfera politica da quella economica, anche nei modi con i quali è lecito promuovere il consenso elettorale.

Fino al 1800 in Inghilterra e negli Stati Uniti, ed ancora oggi in certi Paesi in via di sviluppo, i candidati usavano comprare letteralmente i voti, traendone poi un ampio potere con cui rifarsi ampiamente delle spese sostenute in campagna elettorale; eravamo quindi in presenza di politici corruttori che, tramite la corruzione dei cittadini votanti, ottenevano un aumento delle preferenze. E' anche vero che in questo caso la corruzione portava benefici ad entrambe le parti e, più precisamente, un vantaggio economico per il cittadino ed un vantaggio in termini di potere per il candidato, tuttavia questo sistema è stato combattuto, sia con l'introduzione di norme specifiche che col voto segreto. Il motivo di questa scelta che, dal punto di vista strettamente economico, è inefficiente, sta nel fatto che la società intende eliminare o ridurre il peso del denaro sulle scelte pubbliche, separando così la sfera politica da quella di mercato. Questa separazione è giustificata sia come tutela di un'importante sfera di eguaglianza tra i cittadini, sia come garanzia per il buon funzionamento dei meccanismi di scelta politica.

Purtroppo continua ad essere attuale il fenomeno del cosiddetto "voto di scambio", questo perché i voti degli elettori possono essere comprati anche in modo indiretto, tramite l'erogazione di beni, servizi, trasferimenti, assunzioni ai propri sostenitori e ciò può accadere solo quando il politico o il partito abbiano il controllo dell'amministrazione pubblica. In realtà vi sono alcuni autori, tra cui Theobald (1990), i quali ritengono che il voto di scambio abbia un lato positivo perché consente una maggior rappresentanza politica delle minoranze emarginate, facilitando il loro inserimento nella società e riequilibrando il potere tra i ceti sociali più forti e quelli emarginati. Nessuno nega queste possibilità, ma è anche vero che il voto di scambio riduce l'efficienza del settore pubblico in quanto viola l'applicazione universale della norma, inoltre limita l'accesso a tutti i cittadini ai benefici dell'attività pubblica e crea un rapporto di subordinazione politica e sociale che contrasta con la concezione dello stato democratico. Da qui la giustificazione all'introduzione di norme contro il voto di scambio e l'attribuzione discriminatoria dei benefici del settore pubblico.

L'attuale cronaca giudiziaria in tema di corruzione politica ci insegna come le campagne elettorali necessitino di enormi sostegni finanziari; è allora giusto ritenere corrotto il politico che favorisce alcuni gruppi d'interesse in cambio di finanziamenti per la campagna elettorale? A prima vista sembrerebbe di no in quanto si suppone che il politico, col suo comportamento, non si sia arricchito personalmente, bensì abbia cercato di massimizzare i propri voti, e questo è un obbiettivo del tutto legittimo.

Analizzando la natura dei favori concessi in cambio del finanziamento è possibile distinguere favori legittimi come, ad esempio, l'emanazione di leggi a tutela di determinati settori economici, e favori illegittimi, si pensi alla falsificazione di gare per l'assegnazione di appalti pubblici. E' allora giusto ritenere che il politico nel primo caso abbia agito in piena legalità, mentre nel secondo caso sia un corrotto? La risposta è ancora una volta negativa perché la legge condanna sempre il favoritismo nei confronti di determinati gruppi d'interesse, d'altronde si tratterebbe di un'interferenza del denaro nella politica e ciò va contro il principio della delimitazione tra sfera politica e sfera economica. La ratio di tale delimitazione consiste nel voler ridurre (eliminare appare alquanto irrealistico) la possibilità che determinati gruppi d'interesse, dotati di maggiori mezzi, oppure più organizzati o più attivi in politica, possano avere maggiore influenza di altri: pur sapendo che non è possibile raggiungere una perfetta equità, la norma cerca di spostare l'influenza dal piano della capacità contributiva a quello dell'opinione e del voto. Le elezioni a suffragio universale (una persona, un voto) possono essere viste come un modo istituzionale con cui possano far valer il proprio peso anche le categorie più ampie, come i consumatori, che non potrebbero organizzarsi altrimenti.

Il politico che accetta contributi in cambio di favori è due volte colpevole: la prima perché è un corrotto, la seconda, più grave, perché viola norme che la società considera fondamentali per il buon funzionamento del sistema e l'aggravante sta nel fatto che la violazione avviene ad opera di chi è istituzionalmente responsabile della formazione della norma stessa.

D'altronde non si può negare a gruppi d'interesse la possibilità di organizzarsi al fine di promuovere l'elezione di rappresentanti politici che rispecchiano le loro preferenze (si pensi alle elezioni politiche statunitensi), tuttavia questi "aiuti" devono avere due caratteristiche fondamentali: innanzitutto devono essere dichiarati e pubblicizzati (sono illegali i finanziamenti occulti), inoltre occorre che tali risorse vengano impiegate per finalità sociali, cioè devono contribuire a migliorare il grado d'informazione dell'elettorato e promuovere il buon funzionamento del sistema democratico.

 

3.5 I RAPPORTI DI SCAMBIO NELLA CORRUZIONE POLITICA

Come già analizzato in precedenza, il reato di corruzione si configura diversamente a seconda che i terzi siano parte lesa, cioè siano stati obbligati a pagare una tangente in cambio di qualcosa cui avevano diritto, oppure siano complici dell'Agente (qui inteso come il politico) e traggano beneficio dallo scambio corrotto.

D. della Porta (1992), analizzando gli atti processuali di molti casi di corruzione politica in Italia, è giunta alla conclusione che quasi mai i Terzi, corruttori o concussi, ci "rimettono economicamente" accettando di partecipare ad uno scambio corrotto. I costi della tangente vengono, infatti, spesso recuperati attraverso varie truffe che permettono ai privati, grazie alla copertura dei politici, di ricavare illeciti guadagni ai danni della Pubblica Amministrazione.

La stessa autrice sottolinea come i rapporti di scambio nella corruzione politica vengano effettuati con diverse modalità: la spartizione, la protezione e la convergenza sporadica. E' opportuno precisare che nei sottoparagrafi successivi farò riferimento ai casi processuali da lei analizzati, ma, anziché riportare le generalità di ogni singolo caso, cercherò di trarre conclusioni generali che consentano di analizzare il fenomeno nel modo più realistico possibile.

a) La "spartizione"

Molto spesso, nei casi di corruzione politica, i Terzi sono rappresentati dagli imprenditori i quali, stando alle sentenze giudiziarie, risultano spesso essere dei concussi anziché dei corruttori. In realtà molti imprenditori, concussi o corruttori che siano, hanno sempre avuto interesse a mantenere in vita questo sistema di scambio e questo rapporto di "spartizione" tra attori pubblici e attori privati, d'altronde nessuno può negare che l'enorme sviluppo edilizio degli anni sessanta abbia permesso rapidi arricchimenti ad imprenditori edili dotati di contatti politici privilegiati.

Prendendo come riferimento il settore edilizio, e tenendo conto delle dovute eccezioni, risulta evidente l'impossibilità, per le imprese oneste, di vincere una gara per un pubblico appalto, a meno che queste non cerchino di entrare a far parte del "clan" delle spartizioni: molti elementi indicano infatti l'esistenza di una sorta di oligopolio nell'assegnazione degli appalti. Per poter entrare a far parte del clan è indispensabile avere qualche contatto politico privilegiato, seguito da un graduale processo di coinvolgimento. In più di un caso l'imprenditore, trovandosi in difficoltà economiche, si rivolge ad un amico, guarda caso consigliere comunale, il quale gli consiglia di partecipare ad una gara d'appalto praticando un ribasso, ad esempio del 6%. Così facendo l'imprenditore vince l'appalto e accetta la richiesta dell'amico di versagli una tangente del 5%. In molti altri casi il clan è impenetrabile, e neanche l'intervento del politico può allargare l'oligopolio; addirittura vi sono imprenditori costituiti in trust per negoziare direttamente con gli amministratori e aggiudicarsi, a turno, tutti gli appalti a condizioni molto vantaggiose.

Nell'ambito del trust gli imprenditori si mettono d'accordo sulle offerte, sulle gare, su chi deve partecipare, e tutti rispettano i patti; così facendo possono aggiudicarsi le gare facendo dei ribassi d'asta ridicoli, 3-4%, mentre la regola varia dal 12 al 30%. Questa truffa è possibile solo con la connivenza del politico-amministratore il quale controlla a priori le proposte di tutte le ditte partecipanti al concorso e, dietro il pagamento di una tangente che varia dal 5 al 10%, comunica al clan la percentuale di ribasso ottimale. Gli imprenditori sono ben felici di pagare detta tangente perché ciò gli consente di condizionare i premi e le trattative dei lavori con guadagni che superano di oltre il 50% il giusto livello remunerativo dei lavori. La truffa si ripete costantemente, in modo che ogni ditta del clan possa ottenere la sua quota di appalti.

Il pagamento della tangente, oltre a garantire l'appalto, si traduce spesso in un trattamento privilegiato nei confronti dell'imprenditore nelle varie fasi di applicazione del contratto, ad esempio controlli tecnici superficiali da parte degli ispettori preposti al controllo dei lavori.

Un classico esempio di spartizione lo si ha nella vendita all'incanto (tramite asta del Tribunale) degli immobili pignorati. Stando alla denuncia del giudice Paola Gandolfi, esperta di vendite all'asta alla terza sezione civile del Tribunale di Milano, esiste un "cartello" che ha monopolizzato il mercato degli immobili pignorati nella città di Milano.

"Si sono formati gruppi con forti disponibilità economiche capaci di operare sull'intero sistema delle vendite forzate, delle quali sono gli unici a profittare veramente o assicurandosi l'acquisto a prezzi troppo bassi o esercitando forti pressioni sui pochi privati che partecipano alla gara. [...] Qui sono loro a farla ancora da padroni. Si accordano fuori dagli uffici, usano tutta una serie di stratagemmi riuscendo a rimanere gli unici partecipanti all'asta. [...] Bisognerebbe mettere un paio di agenti in borghese di controllo nei corridoi per individuare eventuali scorrettezze che possano permettere a questi signori di arrivare praticamente soli davanti al giudice."
("Il Giornale", 18 dicembre 1994)

Anna Maria D'Orsi, presidente della X sezione del Tribunale di Milano, conosce le tecniche e i trucchi propri della "turbativa d'asta" e riconosce che le persone che si aggiudicano monolocali, appartamenti di lusso, capannoni e box auto, sono sempre le stesse. Contro questi gruppi è stata sporta denuncia e le indagini sono state due anni nelle mani della Guardia di Finanza per poi passare ai Carabinieri. In particolare i militari dell'Arma hanno sorvegliato le aste pubbliche ma le indagini sono finite nel nulla perché non sempre i carabinieri erano nella possibilità di ascoltare cosa si dicevano tra loro i partecipanti alle gare; d'altronde i grandi affari sulle aste si fanno fuori dall'aula.

b) La "protezione"

Nella maggior parte dei casi di corruzione il politico risulta direttamente coinvolto nelle attività economiche, nella figura di intermediatore. Nell'ultimo ventennio sono state costituite innumerevoli ditte di rappresentanza, di commercializzazione che puntualmente cessano l'attività nel giro di pochi anni; in realtà, in una buona parte dei casi, si tratta di tramiti d'intermediazione tra la ditta e la pubblica amministrazione, di società per affari tra membri della pubblica amministrazione e imprenditori.

Lo scopo di questi tramiti è quello di sostituire la tangente, oltre che rafforzare il rapporto tra alcuni imprenditori e alcuni amministratori; così facendo la tangente passa alla luce del sole come spesa di intermediazione, che in realtà è molto più bassa: la tangente non è più la classica "mazzetta di banconote", ma è il profitto di un'attività economica che in realtà non esiste. Tale sistema è talmente radicato che oggigiorno risulta molto difficile convincere la pubblica amministrazione a rivolgersi direttamente alle ditte produttrici.

Una delle basi di funzionamento di questo sistema sta nella capacità di coinvolgere un alto numero di ditte, graduando i favori, e facendo attenzione a non escludere nessuna ditta disposta a farsi coinvolgere nel sistema. La conflittualità, infatti, si accende se si riduce la cerchia dei protetti ed il meccanismo esplode quando si restringe il cerchio con una relazione speciale tra pochi fornitori e il loro politico di fiducia. Anche in questo caso chi paga le tangenti non viene danneggiato economicamente perché il meccanismo descritto consente di trasferire una grande percentuale degli oneri direttamente sulla pubblica amministrazione. Le tangenti vengono, infatti, recuperate attraverso il pagamento di prezzi maggiorati rispetto al valore reale della merce; così facendo i costi della corruzione vengono coperti con i soldi dello Stato.

c) La "convergenza sporadica"

Spesso i rapporti di corruttela tra politici e privati sono caratterizzati da convergenza sporadica, cioè sono legati a contatti più o meno casuali tra un gruppo di individui. Analizzando diversi casi giudiziari emergono delle figure di mediatori in grado di allacciare i contatti tra politici ed imprenditori e anche, spesso, nel coprire il pagamento della tangente.

Il meccanismo degli intermediari funziona quindi in questi termini: l'imprenditore, che ha bisogno del favore, non sempre ha contatti diretti con il politico, quindi si rivolge ad individui che si pongono sul mercato con il loro bagaglio di conoscenze di persone altolocate. Tali individui sono faccendieri che agiscono a livello personale con gli assessori; non si rivolgono direttamente al partito ma vivono nel sottobosco politico e si prestano a fare da collegamento, dietro lauto compenso; generalmente si fanno chiamare consulenti ma non hanno alcuna qualifica precisa. Il compito dei mediatori è quindi quello di prendere contatti con gli amministratori pubblici e negoziare con loro l'affare. L'Istituto pubblico, cui fanno capo gli amministratori, stipula con il mediatore un contratto che prevede una percentuale a seconda delle vendite, e da questa percentuale esce la tangente per gli amministratori, senza che l'Istituto sappia niente. E' ovvio che gli amministratori stessi decidano chi può fare il mediatore e chi no.

Possiamo quindi ricapitolare affermando che, quando si verifica una situazione di "spartizione", in cui gli attori pubblici sono forti perché unici committenti, e anche gli imprenditori sono forti perché dotati di un tipo di qualificazione relativamente poco presente sul mercato, sembra esserci una reciproca dipendenza: il clan degli imprenditori negoziano con i politici corrotti l'ammontare della tangente da pagare.

Quando si è in presenza di "protezione" la domanda pubblica è di gran lunga dominante, mentre le abilità o i capitali richiesti agli imprenditori sono molto bassi, pertanto i politici-amministratori hanno un elevato potere di contrattazione e gli imprenditori devono "subire" l'imposizione dell'entità delle tangenti.

In fine, nel caso della "convergenza sporadica", lo Stato non è un committente privilegiato, e, nell'ambito del mercato, compete con altri privati nell'acquisizione di beni e servizi; in tal caso lo scambio corrotto si realizza se, per qualche circostanza, c'è un interesse del privato a entrare in un rapporto d'affari con la pubblica amministrazione.

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